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La Primavera Della Scienza

Lamarckismo 2.0

Pubblicato su 29 Gennaio 2015 di Claudio Cardone

giraffa lamarckNel precedente articolo parlavamo della velocità di divisione cellulare dei vari tessuti e delle possibili mutazioni dovute a errori nella replicazione che sfuggono al “proof-reading” e ad altri sistemi di correzione cellulari.

Prendo spunto da queste basi per scrivere – per non dimenticare – un appunto riguardo all’eterno match tra Darwiniani e Lamarckiani, anche se la storia del pensiero scientifico ha consegnato ormai da tempo ai primi la palma della vittoria, relegando il pugile lamarckiano a un dimenticatoio dal quale non sembra essere più uscito, se non per firmare autografi a pochi e denigrati amatori.

Ora, provocatoriamente, vorrei riportare un po’ di luce e speranza ai lamarckiani. Suvvia, non tutto è perduto (forse).

Ricordiamo che l’oggetto principale della disputa riguarda il confronto tra casualità e finalismo. Secondo Darwin la selezione naturale agisce su una base casuale: si tratta di quella che, più tardi, venne definita mutazione cellulare. Le mutazioni sono generate casualmente nelle cellule, per esposizione a fattori mutageni o per errori di replicazione cellulare, e quando questo avviene a livello seminale, si propagano alla prole. Così, la selezione attua su variazioni che si sono generate casualmente e non “al fine” di rispondere ad un particolare problema ambientale.

Secondo Lamarck, invece, è proprio l’ambiente che segna la strada come stimolo adattativo e “spinge” l’organismo a trovare una soluzione per vivere e propagarsi meglio in quell’ambiente. Sarebbe l’ambiente, quindi, a stimolare le “mutazioni giuste” nell’organismo, che con un meccanismo di azione-reazione, risponde alle variazioni ambientali attraverso le successive generazioni.

La provocazione – e lo spunto di riflessione – è: cosa sappiamo davvero sulla casualità delle mutazioni?

Mi si dirà: sì che ne sappiamo, da un punto di vista matematico si presentano come dovute al caso. I nostri modelli matematici e biologici ci permettono di dire che il modo in cui una colonia batterica risponde ad un ambiente ostile (es. con presenza di un antibiotico) generando degli individui adattati (es. antibiotico-resistenti) è dovuto a mutazioni casuali, non certo specifiche e indotte dalla presenza di un tal fattore ambientale ostile o limitante (l’antibiotico, nell’esempio).

Tuttavia: è plausibile che un organismo o una colonia, sottoposti ad un ambiente avverso, almeno come reazione AUMENTINO la propria variabilità interna?

Con variabilità interna intendo, ad esempio ma non solo, la presenza di mutazioni, di errori di replicazione. Credo che questo sia stato giá osservato nei batteri (sbaglio?), perché non dovrebbe verificarsi anche in altre forme di vita (uomo incluso)? A me sembra biologicamente sensato: l’organismo non riesce a risolvere un problema e quindi induce maggiore variabilità affinchè almeno una delle strade percorse (una delle mutazioni) risulti soddisfacente. Il passaggio successivo per un buon lamarckismo é che possa analogamente accadere tanto nella linea somatica come in quella germinale, e che vi sia un collegamento fra le due variabilitá. Se non a livello di individuo, almeno a livello di generazioni successive e quindi di gruppo o specie, il problema sarà risolto e superato.

Non sarebbe questa una piccola rivincita lamarckiana? Dopotutto, anche se non è finalismo duro e puro, si tratta pur sempre di qualcosa una modifica che l’ambiente induce e che “passa” alla generazione futura.

In medicina cinese si dice che ciò che viene appreso (come un meme) può passare come eredità alle generazioni future: chissà che non sia possibile trovare anche per questo un corrispettivo nella ricerca scientifica. L’epigenetica con cui oggi molti si bagnano le labbra e che già era qualcosa di assolutamente immaginabile e comprensibile decine di anni fa (leggere un qualunque testo di genetica  de ‘na vorta, io avevo il Russel), non è altro che la formalizzazione dell’idea che l’ambiente cambia i geni. Possiamo quindi immaginare che modifiche che avvengono nei geni “somatici” avvengano parallelamente in quelli “seminali” sotto opportune condizioni?

Questo sarebbe un po’ l’equivalente molecolare dei “neuroni specchio”: la modifica somatica viene specchiata da quella seminale. Impossibile? Chissà.

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