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La Primavera Della Scienza

La massa NON è una persona

Pubblicato su 20 Febbraio 2013 di Claudio Cardone

folla

Stavo leggendo un post (facebook) di un mio amico che si scaglia contro i pregiudizi riguardo alle coppie gay. Al di là dell’argomento, quello che mi viene da pensare è come certe posizioni di intransigenza, proprie di alcune persone, vengano fuori più facilmente a seconda della comunicazione di massa. Ossia, nel caso specifico, se non ci fosse una amplificazione mediatica di certi atteggiamenti intransigenti verso i gay, chissà forse la fetta di popolazione che reagisce in maniera ottusa all’argomento sarebbe inferiore.

Stessa cosa pensavo riguardo a certi atteggiamenti di chi segue personalità forti, identificandosi nel messaggio che esse lanciano. Penso a due casi per certi versi molto differenti, ma accomunati dal fatto che hanno riunito sotto di sè un movimento, una “tribù” (per dirla con Seth Godin) di seguaci che dimostrano un certo spirito critico, cioè che non si limitano a seguire il guru. Mi riferisco a Grillo (che ha un seguito decisamente folto) e Bagnai (che ne ha molti di meno, ma decisamente agguerriti.. E io in certa misura mi annovero fra questi).

Entrambi, chi più chi meno, hanno generato “troll“, cioè persone che diffondono le idee del leader in modo “più realista del re”, spesso senza accettare critiche, senza essere disposti al confronto e senza vedere gli eventuali limiti del proprio leader (che è umano e, vivaddio, può sbagliare). Penso, ad esempio, ad alcune risposte verbalmente violente ricevute da Le Scienze a seguito di una loro iniziativa che chiedeva la partecipazione del Movimento 5 Stelle. Se accade questo all’interno di comunità che – in modo più o meno marcato – vengono stimolate al pensiero critico*, possiamo anche immaginare come le frange intransigenti possano crescere, rinforzarsi e trasformarsi in presenza di condizioni che, all’opposto, stimolano ad una maggiore uniformità, come accade nelle derive totalitarie.

Personalmente (e per formazione) ne faccio un vincolo biologico, prima che sociale: per avere “vita” e quindi anche vitalità, crescita e riproduzione, uno dei requisiti fondamentali è la variabilità. Così, anche in una “tribù” o in qualunque aggregato sociale, l’uniformità di idee, comportamenti e abilità porta invariabilmente a fenomeni degenerativi o (auto)distruttivi.

In sostanza, a prescindere dalla variabilità, quando si forma una massa di persone essa non risponde più come un singolo individuo, ma forse risponde secondo una qualche “distribuzione”, prevedibile o meno. Non è solo la società a mostrare questo tipo di apparente contraddizione. Prendiamo un esempio (molto banale) sul calcolo delle probabilità: lanciando una moneta abbiamo il 50% di possibilità che esca Testa (T) e il 50% Croce (C). Ma se prendiamo una serie di 5 lanci, avremo che un risultato “T T T T T” o “C C C C C” sarà abbastanza improbabile rispetto ad una distribuzione più variata di Teste e Croci (N.B. parlo di combinazioni e non di disposizioni). Ora immaginiamo di aver tirato 4 volte testa (TTTT): la quinta volta la probabilità di avere di nuovo T dovrebbe essere sempre del 50% (e lo è) eppure dentro di noi pensiamo che, nel complesso, sarebbe l’ora che uscisse C, e quindi potremmo essere tentati di puntare su quello.

Ecco, ognuno di noi è una “Testa”, e potrebbe sempre far uscire la “sua” Testa. Tuttavia all’interno di un gruppo, siccome le leggi della probabilità non sono insite in noi, cominciamo a pensare che forse farebbe meglio a far uscire “Croce”. Diciamo che ognuno di noi, preso individualmente, ha un 50% di possibilità di comportarsi in un modo oppure in un altro; poi, quando questa stessa persona è in un gruppo, la massa “altera” l’espressione della sua individualità e la probabilità dei suoi comportamenti. Allo stesso modo, egli “cede” parte della sua individualità alla massa in cui si riconosce.

Più i messaggi del leader sono forti, duri, violenti verbalmente, più è facile che le frange estreme trovino alimento in questo, e siano più “rappresentate” nella distribuzione “delle Teste”. In parte l’estremismo del leader è funzionale alla sua posizione: a nessuno interesserebbe un leader “moscio”, senza forti accenti o – persino – senza contraddizioni. Le contraddizioni e i toni forti fanno parte della “narrazione” del personaggio, e questo non va sottovalutato, anzi.

Come ho detto in altre occasioni, uno dei libri più intelligenti che mi è capitato di sfogliare riguardo alla politica – e non solo –  è “La guerra civile fredda” di Luttazzi, nel quale viene ben illustrato (facendo riferimento a studi americani) che uno dei punti fondamentali della riuscita politica e sociale di un leader è la narrazione, ovvero la forza (emotiva) del filone narrativo di cui egli dovrebbe essere il protagonista. Questo è fondamentale da tener presente: la maggior parte delle scelte che facciamo è inconsapevole e, anche e soprattutto quando si parla di gruppi sociali guidati da uno (o più) leader, non sono tanto i contenuti che contano, quanto la narrazione degli stessi, il contorno, il colore e l’emozione che ci comunicano.

matrixL’idea del racconto e della narrazione è “dentro” le nostre vite molto più di quanto quotidianamente vorremmo ammettere. Ci sono correnti filosofiche, terapeutiche e spirituali antiche e recenti che descrivono la realtà come un racconto, come un sogno in cui noi siamo i protagonisti, in cui svolgiamo il ruolo di attori. L’idea è che ognuno di noi vive un suo personale “mito”, che è la sua vita. Questo è anche un modo di vedere il motivo per cui ci capitano “sempre le stesse cose” o facciamo “sempre gli stessi errori”. In qualche modo, contribuiamo quotidianamente a rendere vero e coerente il nostro mito personale.

Qualunque sia il nostro modo di vedere la vita io credo che sia importante che almeno ci rendiamo conto di una cosa, e cioè di quanto peso hanno le narrazioni, e nello specifico la propaganda, nelle nostre vite. Tutti noi sviluppiamo delle credenze, che dovrebbero poter essere anche modificate: quanto di queste credenze deriva da una nostra scelta consapevole e quanto dalla propaganda che si è insinuata nel nostro incosciente?

Ad esempio, mentre stiamo affrontando un dialogo con qualcuno con posizioni diverse dalle nostre, ci capita di riflettere sulle argomentazioni che ci vengono proposte o pensiamo soprattutto a cosa potrebbe distruggerle? Il secondo caso è un “sintomo” dell’essere affetti da propaganda, perchè la difesa preventiva è collegata alla paura di perdere le proprie convinzioni, che probabilmente non sono davvero “nostre”. Se abbiamo una credenza o convinzione consapevole, non avremo alcun problema ad accogliere nuove idee ed esaminarle. Perchè la convinzione consapevole è qualcosa di cui siamo padroni, e possiamo cambiarla quando vogliamo, se ci sono i requisiti per farlo.

Abbiamo avuto il crollo delle ideologie politiche di massa; le religioni positive e in particolare quella cattolica sono in difficoltà; le fondamenta epistemologiche della scienza sono state messe in discussione dalla fisica quantistica e dalla filosofia; la medicina deve fare i conti con lo studio del placebo e delle credenze individuali.

Progressivamente, siamo di fronte al fatto che i dogmi crollano, ma nonostante questo spesso ci affanniamo nel tentativo di costruirne – o seguirne – degli altri.

 

*So benissimo che Grillo ha spesso un atteggiamento tutt’altro che democratico e appare decisamente accentratore. Tuttavia non si può negare che abbia stimolato spesso il suo seguito a impegnarsi in prima persona, a leggere e approfondire certi temi, a informarsi. In questa circostanza l’ho accomunato a Bagnai non per paragonarli, quanto per sottolineare certe dinamiche legate alle masse, o meglio alle “tribù”, dinamiche che si presentano simili anche in contesti e con personaggi diversi fra loro. Parlo di questi due esempi ma ho ben presente che in altri contesti ci sono moooolti più troll, tuttavia stiamo parlando di “leader” che neanche a parole incitano i loro seguaci a formarsi una propria idea.

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