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La Primavera Della Scienza

Archivio Categoria: SCIENZA

Tumori Per Caso: parte seconda (meglio)

Pubblicato su 26 Aprile 2017 di Claudio Cardone

casualità

Gli autori della ricerca sull’impatto dei fattori casuali sul cancro hanno “corretto” oggi quello che nel mio piccolo avevo sottolineato 2 anni fa, ossia che era stato trascurato il ruolo dei fattori mutageni aspecifici.

Ovviamente non mi si caga nessuno, ma resta agli atti.
2017: http://science.sciencemag.org/content/355/6331/1330.full
2015: http://www.laprimaveradellascienza.it/epic-fail-su-science…/

nell’articolo del 2017 sono stati molto più cauti nel tirare le conclusioni. Lo studio è comunque mooolto interessante. Da tener presente, inoltre, che il loro ragionamento “per esclusione” sui fattori di rischio (ambientali + genetici + mutazioni casuali) resta aperto a nuove acquisizioni.

Ossia: se solo il 10% di un cancro è considerato prevenibile in relazione a determinati fattori ambientali, e magari non ha predisposizioni genetiche note, la maggior parte delle mutazioni cancerogeniche dipenderebbero dagli errori di replicazione cellulare. Ma se ci sono fattori ambientali o genetici oggi sconosciuti, potranno essere considerati in seguito nel calcolo del rischio, anche se secondo il modello elaborato dagli autori, il fattore R (replicazione) resterebbe sempre alto.

Mi resta da capire perchè nel modello hanno considerato solo fattori (genetici o ambientali) che non alterino la media delle 3 mutazioni per ciclo replicativo, ma probabilmente sono cose di oncologia che non so.

Da un punto di vista di medicina cinese manca un’altra grossa incognita nei fattori ambientali: l’ambiente interno (emozioni e sentimenti). Anch’esso (chissà) potrebbe agire come modificatore aspecifico della mutagenesi e quindi impattare in modo statisticamente omogeneo sulle cellule in rapporto al loro tasso di replicazione. (sul ruolo dei modificatori aspecifici vedi articolo del 2015)

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4 Consigli Pratici per Studiare e Memorizzare Meglio

Pubblicato su 14 Febbraio 2017 di Claudio Cardone

Tornando all’università mi sono accorto che a molti studenti manca un metodo di studio che funzioni bene. Capita di perdere molto tempo e ottenere risultati non soddisfacenti. Insomma, visto che su questo ho un bel po’ di esperienza, ho fatto un video per spiegare come imposto il mio studio.

In questo video ovviamente non c’è “tutto”, ma ci sono gli elementi che considero più importanti, ossia:

  • come organizzare lo studio universitario di base, al fine di ottenere risultati soddisfacenti e non dimenticare tutto il giorno dopo l’esame
  • come appassionarsi a quello che si fa anche se sembra terribilmente noioso
  • la combinazione di tecniche di memoria più semplici e più potenti che si possano usare
  • esempi pratici su come applicare le tecniche

Il video dura un’ora e costa dù spicci perchè comunque vi ho speso del tempo 😉

Se vedete il video lasciatemi un commento qui sotto così se poi aggiungo altre “dritte” ve lo notifico, anche se non le posto in questo blog!

P.S. le tecniche di memoria sono scritte ovunque ma a me c’è voluto tempo per capire come farle funzionare, la differenza sta tutta lì – come sempre – nella pratica.

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Cosa è Scienza? Un breve excursus sul XX secolo

Pubblicato su 8 Novembre 2016 di Claudio Cardone
Filosofia della Scienza: ecco una carrellata molto ben raccontata (in spagnolo) su Popper, Kuhn, Lakatos e Feyerabend 🙂

 

I punti sottolineati dal relatore, in breve:

 

Popper:

1) La metafisica può avere senso “nonostante” la scienza
2) La scienza trae origine da assunti metafisici (impliciti?): es. l’idea che il mondo in generale sia descrivibile matematicamente/geometricamente è una credenza metafisica, non dimostrabile, alla base della maggior parte delle ipotesi scientifiche
3) Le ipotesi scientifiche sono “provvisorie”, aperte ad essere “falsificate” da eventuali esperimenti che contraddicano la ipotesi, o perlomeno un qualche elemento racchiuso in essa, per cui anche se non si può scartare l’ipotesi in toto, c’è un avanzamento rispetto a un qualche elemento che è stato falsificato.
4) Le “osservazioni”, i “fatti” non sono separabili dalla teoria. Un dato empirico è “circondato” dalla sua interpretazione, ossia necessitiamo di una teoria scientifica che permette di leggere quel dato, che dà significato a quel dato, ed è preesistente all’osservazione (theory-laden observation)
 

Kuhn:

1) La razionalità non è algoritmica: la scienza non procede in modo algoritmico, ma con periodi di affermazione di un paradigma (scientifico) finchè non si fa avanti, in un momento di crisi, un paradigma alternativo.
2) Gli scienziati si “afferrano” al proprio “nucleo centrale di pensiero” e non usano la falsificazione come dice Popper, anzi cercano conferme della propria visione.
3) Quindi non c’è un metodo scientifico progressivo, ma dei momenti di crisi (a causa dell’afferramento a un paradigma che mostra dei limiti) in cui si ricomincia a mettere in discussione i fondamenti, finchè non viene fuori un paradigma alternativo, in modo apparentemente “casuale”.
4) Quindi ogni paradigma scientifico va contestualizzato nel suo periodo storico, non è “definitivo”: non c’è un metodo scientifico “universale”, conservato, ma è relativo al contesto umano, storico. (i paradigmi sono “incommensurabili” ossia non confrontabili, ma relativi)
 

Lakatos:

1) E’ vero che gli scienziati non falsificano teorie precedenti (Kuhn dimostrava che il processo di falsificazione in sè non è possibile)
2) Ma quando una teoria scientifica mostra delle crepe, nel tentativo di mantenerla in vita vengono create delle ipotesi “ad hoc”, tramite le quali si fanno previsioni puntuali sul futuro (es. il passaggio della cometa di Halley per giustificare delle anomalie secondo il modello newtoniano)
3) Queste ipotesi ad hoc sì che sono falsificabili, perchè se portano o no a delle previsioni accertate corroborano o intaccano la teoria di partenza.
 

Feyerabend:

1) Se la falsificazione delle ipotesi ad hoc si basa sul futuro, allora nulla si può dire sul presente: una teoria può essere “vincente” nel presente ma essere falsificata nel futuro. Viceversa, una teoria può essere screditata nel presente ed essere corroborata nel futuro.
2) Analogamente, se una teoria (“scientifica” o meno) mostra delle crepe o delle anomalie, si può sempre salvare “ad hoc” con delle ipotesi che si formulano con previsioni nel futuro, quindi nel presente come si distingue tra ciò che è scienza e ciò che non lo è? Qual è il metodo?
3) Non c’è un metodo ma una capacità di creazione di ipotesi, spesso contraddittorie con ciò che si crede nel presente, che poi possono risultare “vincenti” oppure essere scartate. *
 

Riassunto:

1 – la scienza dipende da concezioni metafisiche (filosofiche) preesistenti.
2 – il metodo ipotetico-deduttivo non permette nè falsare con esattezza, nè corroborare con esattezza. Le ipotesi non smettono mai di essere fallibili
3 – i “dati” scientifici dipendono dal paradigma che si usa per interpretarli
4 – la scienza consiste nel correre il rischio che il proprio programma di ricerca sia progressivo (ossia che abbia successo, che rappresenti un progresso) o regressivo
5 – il progresso della scienza dipende dalla creatività degli scienziati (non dalla loro perizia nell’applicare un metodo). Il ragionamento filosofico consente di stimolare la creatività in chi si occupa di scienza (…”il caso aiuta le menti preparate”)
——————————–

Aggiunte personali… (domande da relativista):

– Spesso si fa riferimento a queste diatribe filosofiche su un livello “quantitativo”, ossia su quanto, nel ragionamento scientifico, influisce il dato empirico rispetto al contesto umano, storico e ideologico, in cui quel dato è inserito e “informato”, ossia riempito di significato. In effetti, il percorso epistemologico descritto qui sopra tende sempre più ad avvicinare la scienza alla dimensione di espressione culturale umana. Ma a livello qualitativo, invece, cosa possiamo dire? Se i modelli (i paradigmi scientifici) sono in ogni momento non confutabili e non verificabili, ha senso l’idea di un “progresso scientifico”?
– Eppure il progresso è “sotto i nostri occhi”. Curiamo malattie che prima non curavamo, usiamo tecnologie che prima neanche immaginavamo. Ma questo dipende dal metodo oppure dal fatto che abbiamo un paradigma che consideriamo forte e coerente e quindi ci permette di interpretare la realtà e di dare forma ad essa?
– La spiegazione scientifica di un evento “reale” è una spiegazione oppure una interpretazione? Ossia, per quale ragione una mela cade da un albero? Per la forza gravitazionale, per la curvatura dello spazio-tempo, per la volontà divina che questo accada? Queste non sono forse interpretazioni di un evento che accade, mentre resta ignoto il motivo per cui esso accade?
– Se non sappiamo il motivo per cui accade, possiamo dire che una teoria sia più veritiera di un’altra? Oppure ci basiamo SOLO sul fatto (psicologico ma non dimostrabile) che ci consenta di ottenere dei risultati, ossia delle previsioni su quanto accadrà?
– Se ci sono vari modelli interpretativi della realtà di cui non possiamo dire quale sia “il più veritiero” (come dice anche S. Hawkins), cos’è la realtà?
——————————–
Chiedo venia a eventuali filosofi che passino su questa pagina: non ho una formazione accademica in filosofia e posso aver riportato in modo improprio alcuni concetti. Oltretutto ho sintetizzato i contenuti del video, non i contenuti delle opere dei filosofi citati, quindi sicuramente mancano dei nessi importanti, delle argomentazioni ecc. Se avete voglia lasciate un commento
——————————–
* Secondo Feyerabend un metodo scientifico che permetta di ricavare le teorie dai fatti non può esistere per diverse ragioni. In primo luogo perché i fatti non sono separabili dalle teorie ma sono inestricabilmente legati a esse; in secondo luogo perché le teorie possono essere giustificate soltanto in riferimento ad altre teorie, e quindi in modo intrinsecamente non obiettivo. Ma soprattutto, è impossibile definire un metodo scientifico inteso come un insieme di regole generali, perché nella storia della scienza qualsiasi regola metodologica è stata violata prima o poi.

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Berrino: la quantità, qualità e VARIETA’ degli alimenti

Pubblicato su 3 Agosto 2015 di Claudio Cardone

E’ sempre un gran piacere ascoltare Berrino:

 

Da incorniciare vari passaggi, tra cui il richiamo alla varietà e alla diversificazione, che è l’anima della vita biologica.

Qualunque sistema vivente è tanto più resistente quanto più esposto alla variabilità: il sistema immunitario più efficiente è quello che “visto” e superato quanti più antigeni possibile.
D’altra parte, se uno si ritrovasse immerso in un ambiente troppo ostile, rischierebbe di soccombere.

Allo stesso modo, una certa variabilità nelle fonti di alimentazione (ricercando la qualità e la prossimità territoriale) rinforza il sistema digerente e soprattutto migliora la sua fitness, ossia la capacità di adattamento quando le cose non vanno proprio per il meglio.

E anche per il sistema nervoso: cosa accade se ascoltiamo sempre gli stessi discorsi, leggiamo sempre le stesse fonti, coltiviamo sempre le stesse credenze facendo resistenza a qualunque nuova idea?

 

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Biologico VS OGM non è uguale a NATURALE vs ARTIFICIALE. Ma…

Pubblicato su 6 Maggio 2015 di Claudio Cardone

marchio biologicoVi consiglio di leggere questo articolo: http://www.linkiesta.it/biolo

L’intervista è interessante e ben argomentata, a parte alcuni punti (vedi il discorso destra/sinistra). Nonostante questo ci sono degli elementi secondo me da tenere in conto, per non semplificare la situazione:

– un punto che viene accennato ma poi non sviluppato è quello delle monocolture, o per dirla con una parola più estesa, della biodiversità. La coltura su grande scala e soprattutto gli ogm ammazzano la biodiversità, facendoci mangiare sempre la stessa varietà di prodotto. Tutti i sistemi biologici apprendono dalla variabilità: se al nostro sistema immunitario presentiamo un solo tipo di antigene diventa incompetente, allo stesso modo potrebbe accadere qualcosa di simile al nostro sistema digerente. Allergie e intolleranze oggi molto diffuse potrebbero essere collegate anche a questo aspetto. Notare che uso il condizionale: sono appunti di logica biologica, magari a volte non facilmente verificabili, ma neanche si possono saltare a piè pari.

– quindi dire che abbiamo sempre modificato le piante è vero, ma non equivale a dire che farlo su scala mondiale e tutti allo stesso modo corrisponda a quello che si faceva centinaia o migliaia di anni fa “a caso”. L’economia di scala produce conseguenze.. in scala. Quindi il ragionamento è FALLACE: ci sono conseguenze sia che tutti applichino il modello biologico, sia che tutti applichino quello industriale, come lui stesso afferma alla fine: ogni scelta produce delle conseguenze. La postilla, magari, è che quando ammazzi la biodiversità non è che poi puoi facilmente “tornare indietro”. Le varietà genetiche si producono nel tempo, a meno che non crediamo di poter sintetizzare tutto.

– non è vero che abbiamo “il libro di istruzioni della natura”: conoscere come funzionano alcuni geni non vuol dire comprendere ciò che una modifica introduce in tutto il sistema (ecosistema, organismo umano che assorbe i nutrienti). Vi sono delle imprevedibilità che non vengono considerate. Questo discorso che il progresso è una linea retta e che si va sempre migliorando è una nostra costruzione mentale occidentale . Il fatto che la popolazione aumenti non è di per sè un valore, il fatto che l’età media aumenti non è oggettivamente un valore. Dipende da come rispondiamo ad alcune domande, come ad esempio: vogliamo vivere più a lungo o più felici? Per ottenere un beneficio (es. vita media più lunga) a cosa siamo disposti a rinunciare? (perchè non ci sono pasti gratis..)

– E, a ruota, cos’è più “di sinistra”: dare da mangiare a tutti la stessa cosa o permettere e stimolare una diversità?

– non sono un esperto di biologico ma non viene fatta menzione del biodinamico, forse valeva la pena introdurlo nel discorso delle comparazioni

– il discorso di base che gli ogm consentono meno uso di pesticidi e quant’altro è assolutamente condivisibile, ma occhio che dal punto di vista logico si rischia la proposizione di un “falso dilemma”: o si usano gli ogm, oppure bisogna rassegnarsi ai pesticidi. Oppure: gli ogm convengono, quindi usiamo solo quelli. Occhio al rischio di fare “i talebani” dicendo di combattere “i talebani” (l’esempio non è casuale).

– personalmente, non sono contro gli ogm più di quanto sono contro la produzione in grande scala, che ci riempie di pesticidi e antibiotici. E non ho la soluzione. Ma repello questo modello positivistico in cui tutto ciò che è tecnologia e progresso fa “del bene”: lui da un lato critica la visione arcadica, dall’altro dice – onestamente – che bisogna sperimentare, e siamo d’accordo! Però che l’economia di scala sia un valore di per sè, no.

– Gli antibiotici, una delle grandi conquiste della scienza medica moderna, fra un po’ daranno seri problemi e cominciano già a far scattare l’allarme negli ospedali: li usiamo troppo, in grande scala e sempre gli stessi, molti ora sono inefficaci rispetto al passato. Perchè? Perchè vengono usati molto e a sproposito, e perchè l’omologazione in grande scala produce in natura una variabilità di “risposta”: si selezionano ceppi resistenti di batteri, in questo caso. Ora bisogna trovare in fretta nuove molecole perchè sennò, quando andrete a farvi una operazioncina, dovrete pregare perchè non prendiate una infezione. Questa è l’economia di scala: grandi omologazioni di massa che producono grandi instabilità. Ficchiamocelo in testa: se omologhiamo tutto siamo più sensibili a qualunque variazione dell’ambiente.

– Dobbiamo fare delle “prove” e vedere quello che funziona? Allora, come provocazione, dico: prova l’ogm nell’orto di casa tua così come il biologico nell’orto di quell’altro. Perchè se applichi entrambi su grande scala avrai problemi: per il biologico magari è il consumo di acqua, la bassa resa e l’uso di alcuni prodotti come il rame, per l’altro modello uno dei grossi problemi è l’omologazione e gli effetti sull’ecosistema, che non sono prevedibili. Chi usa biologico ha incentivi? Bene, perchè permette una biodiversità che il modello a grande scala non ammette, e questa biodiversità va difesa non perchè siamo nostalgici dei bei tempi andati o perchè siamo di sinistra o di destra (che immane cazzata), ma perchè E’ NEL NOSTRO INTERESSE, tanto quanto dar da mangiare a tutti. Se bisogna mettere in discussione le cose, se bisogna avere pensiero critico bisogna averlo su tutto, non fermarsi a: “si abbassa la mortalità quindi è BUONO”.

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6 “Trucchi” per Convincere Qualcuno

Pubblicato su 7 Aprile 2015 di Claudio Cardone

Il libro di Cialdini: “Influence: The Psychology of Persuasion” mi era stato consigliato parecchio tempo fa, ma non l’ho mai letto. Nel frattempo che mi decido, per caso ho trovato su youtube questo video molto carino, basato sul libro di Cialdini, sui 6 fattori che influenzano le persone ad accettare una proposta. Lo posto qui cosí me lo ricordo!!

Enjoy.

 

AGGIORNAMENTO (15/02/2016)

 

Come spesso capita, ho poi acquistato il libro casualmente passato sotto i miei occhi tempo dopo e l’ho letto. Ne riassumo qui di seguito i punti principali, ovvero le “leve” più diffuse della persuasione:

 

  1. Principio del contrasto: una cosa ci appare diversa in relazione a ciò che lo circonda, lo precede o lo segue
    • passare dalla cosa più valida verso quella più scadente, fa sembrare eccellente la prima proposta
    • prima il peggio, poi un ripiego: partire da una proposta inaccettabile per poi ripiegare su una un po’ svantaggiosa, ma non estrema
  2. Principio della reciprocità: bisogna dare “qualcosa in cambio”
    • offrire un dono spinge alla necessità implicita di contraccambiare
    • offrire una seconda chance dopo un rifiuto ad una prima proposta/offerta spinge a non rifiutare per la seconda volta (simile a “peggio poi ripiego”)
  3. Principio della coerenza: l’impegno a una parola data o scelta fatta viene mantenuto per percepirsi coerenti con se stessi, per aderire ad una IMMAGINE DI SE’
    • chiedere un piccolo assenso, una volta ottenuto chiederne uno più impegnativo (es. sondaggio prima di una richiesta)
    • potere di una dichiarazione scritta (sono io che l’ho scritto, “quindi lo penso”)
    • più una cosa richiede impegno, più ha valore (es. dure prove per essere ammesso a un gruppo)
    • piccole ricompense: portano ad un impegno interno (non dare grandi ricompense in relazione a grande impegno: l’impegno deve essere qualcosa che si fa “per sè”, non per la ricompensa) – in relazione al punto precedente
    • far sentire l’individuo responsabile per la propria scelta
  4. Principio della riprova sociale (o della moltitudine) : se molti lo pensano/lo fanno, dev’essere vero
    • funziona bene in caso di dubbio sul da farsi
    • funziona bene se la riprova è data da soggetti simili a sè
  5. Principio della simpatia: se è simpatico allora è buono/merita fiducia
    • si sfrutta la simpatia o l’amicizia (non dire di no ad un vantaggio per un amico, non mettere in discussione amicizia)
    • il favoritismo coinvolge ovviamente la bellezza e l’attrattività fisica
    • uso della mimesi: si favorisce o comunque si accettano proposte da chi è simile a noi (stessi interessi, comportamenti)
    • fare complimenti, anche se falsi, rende implicitamente simpatici
    • familiarità: essere almeno noti all’interlocutore favorisce una preferenza rispetto ad altri meno noti (cfr elezioni politiche)
    • far intendere che si sta cooperando ad uno stesso scopo (es. vado dal capo per vedere se riesco a farle avere uno sconto)
    • si tende ad associare la persona alle emozioni che ha dato (es. portatori di cattive/buone notizie, pranzi di lavoro -> associazione con il buon cibo) e associarsi a cose/persone vincenti per migliorare immagine di sè, soprattutto se bassa autostima (es. squadre di calcio se vincono vs. se perdono)
  6. Principio di autorità: se lo dice una persona autorevole allora posso “spegnere” il mio giudizio. E’ un principio MOLTO potente.
    • l’autorevolezza include tutte le forme esteriori che la rappresentano, tra cui in particolare: i titoli (Dr., Ing. ..), gli abiti, gli ornamenti che definiscono la posizione sociale e professionale
  7. Principio della scarsità: se una risorsa è limitata nello spazio o nel tempo, accresce la sua desiderabilità
    • l’ultima chance: se si lascia intendere che è l’ultima possibilità
    • informazione soggetta a censura, oppure “riservata” all’interlocutore (es. c’è uno sconto ma lo dico solo a te, fonti riservate dicono che..)
    • scarsità di un bene dopo l’abbondanza: se si è abituati a un certo bene e poi diviene improvvisamente scarso, aumenta la sua desiderabilità. Il risvolto è con le libertà: se una libertà anche minima viene tolta IMPROVVISAMENTE, ci può essere rivolta (diverso è se viene tolta poco alla volta… cfr. principio 3 punto primo)
    • creare competizione intorno a un bene scarso, come avviene in natura (risorse limitate in uno stesso ambiente) porta ad una maggiore concorrenza verso l’appropriazione di quel bene

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Lamarckismo 2.0

Pubblicato su 29 Gennaio 2015 di Claudio Cardone

giraffa lamarckNel precedente articolo parlavamo della velocità di divisione cellulare dei vari tessuti e delle possibili mutazioni dovute a errori nella replicazione che sfuggono al “proof-reading” e ad altri sistemi di correzione cellulari.

Prendo spunto da queste basi per scrivere – per non dimenticare – un appunto riguardo all’eterno match tra Darwiniani e Lamarckiani, anche se la storia del pensiero scientifico ha consegnato ormai da tempo ai primi la palma della vittoria, relegando il pugile lamarckiano a un dimenticatoio dal quale non sembra essere più uscito, se non per firmare autografi a pochi e denigrati amatori.

Ora, provocatoriamente, vorrei riportare un po’ di luce e speranza ai lamarckiani. Suvvia, non tutto è perduto (forse).

Ricordiamo che l’oggetto principale della disputa riguarda il confronto tra casualità e finalismo. Secondo Darwin la selezione naturale agisce su una base casuale: si tratta di quella che, più tardi, venne definita mutazione cellulare. Le mutazioni sono generate casualmente nelle cellule, per esposizione a fattori mutageni o per errori di replicazione cellulare, e quando questo avviene a livello seminale, si propagano alla prole. Così, la selezione attua su variazioni che si sono generate casualmente e non “al fine” di rispondere ad un particolare problema ambientale.

Secondo Lamarck, invece, è proprio l’ambiente che segna la strada come stimolo adattativo e “spinge” l’organismo a trovare una soluzione per vivere e propagarsi meglio in quell’ambiente. Sarebbe l’ambiente, quindi, a stimolare le “mutazioni giuste” nell’organismo, che con un meccanismo di azione-reazione, risponde alle variazioni ambientali attraverso le successive generazioni.

La provocazione – e lo spunto di riflessione – è: cosa sappiamo davvero sulla casualità delle mutazioni?

Mi si dirà: sì che ne sappiamo, da un punto di vista matematico si presentano come dovute al caso. I nostri modelli matematici e biologici ci permettono di dire che il modo in cui una colonia batterica risponde ad un ambiente ostile (es. con presenza di un antibiotico) generando degli individui adattati (es. antibiotico-resistenti) è dovuto a mutazioni casuali, non certo specifiche e indotte dalla presenza di un tal fattore ambientale ostile o limitante (l’antibiotico, nell’esempio).

Tuttavia: è plausibile che un organismo o una colonia, sottoposti ad un ambiente avverso, almeno come reazione AUMENTINO la propria variabilità interna?

Con variabilità interna intendo, ad esempio ma non solo, la presenza di mutazioni, di errori di replicazione. Credo che questo sia stato giá osservato nei batteri (sbaglio?), perché non dovrebbe verificarsi anche in altre forme di vita (uomo incluso)? A me sembra biologicamente sensato: l’organismo non riesce a risolvere un problema e quindi induce maggiore variabilità affinchè almeno una delle strade percorse (una delle mutazioni) risulti soddisfacente. Il passaggio successivo per un buon lamarckismo é che possa analogamente accadere tanto nella linea somatica come in quella germinale, e che vi sia un collegamento fra le due variabilitá. Se non a livello di individuo, almeno a livello di generazioni successive e quindi di gruppo o specie, il problema sarà risolto e superato.

Non sarebbe questa una piccola rivincita lamarckiana? Dopotutto, anche se non è finalismo duro e puro, si tratta pur sempre di qualcosa una modifica che l’ambiente induce e che “passa” alla generazione futura.

In medicina cinese si dice che ciò che viene appreso (come un meme) può passare come eredità alle generazioni future: chissà che non sia possibile trovare anche per questo un corrispettivo nella ricerca scientifica. L’epigenetica con cui oggi molti si bagnano le labbra e che già era qualcosa di assolutamente immaginabile e comprensibile decine di anni fa (leggere un qualunque testo di genetica  de ‘na vorta, io avevo il Russel), non è altro che la formalizzazione dell’idea che l’ambiente cambia i geni. Possiamo quindi immaginare che modifiche che avvengono nei geni “somatici” avvengano parallelamente in quelli “seminali” sotto opportune condizioni?

Questo sarebbe un po’ l’equivalente molecolare dei “neuroni specchio”: la modifica somatica viene specchiata da quella seminale. Impossibile? Chissà.

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EPIC FAIL su “Science” : un errore da dilettanti

Pubblicato su 15 Gennaio 2015 di Claudio Cardone

casualitàRecentemente è stato pubblicato sulla rinomata rivista Science un articolo scientifico sul cancro che ha generato un certo dibattito. Ne ho letto per caso una sintesi su Wired. Come mai è un tema caldo?

Gli autori della ricerca (C. Tomasetti e B. Vogelstein – quest’ultimo soprattutto molto noto) sostengono che la maggior parte dei casi di cancro è determinata da errori casuali nella replicazione cellulare, ossia hanno poca influenza i fattori ambientali ed ereditari. Caspita, una bomba, detta così! Ma la loro ricerca dice davvero questo? Andiamo a vedere i fatti:

I tessuti del corpo umano si rinnovano con una certa frequenza, attraverso un pool di cellule staminali che, dividendosi e poi differenziandosi, danno origine a nuovi elementi del tessuto (fanno il turnover). Tomasetti e Volgenstein (T & V) hanno individuato una forte correlazione tra il tasso di turnover tessuto-specifico e il rischio di cancro statisticamente rilevato (negli USA) a carico di quel tessuto. Ossia: più le cellule di un tessuto vanno incontro a replicazione, più è “facile” che in quel tessuto si verifichi una proliferazione tumorale.

Inoltre, gli stessi autori hanno verificato che per alcuni tessuti il rischio di cancro era significativamente superiore rispetto al turnover cellulare: in questi casi spesso si possono individuare dei fattori ambientali o ereditari che agiscono come cancerigeni specifici: ad esempio il vizio del fumo influisce significativamente sul rischio di cancro ai polmoni ma non su altri tessuti presi in considerazione.

Fin qui tutto ok.

Ma come è possibile che da questi dati sperimentali gli autori (e chi li segue) arrivino a dire che la CAUSA dei 2/3 dei tumori è prevalentemente SPIEGATA da errori casuali nel tasso di replicazione cellulare? Una correlazione NON E’ una causalità, perdio! Questo lo sa qualunque dottorando e, sperabilmente, qualunque laureando in materie scientifiche!

Leggiamo insieme cosa dicono gli autori:

“We show here that the stochastic effects of DNA replication can be numerically estimated and distinguished from external environmental factors. Moreover, we show that these stochastic influences are in fact the major contributors to cancer overall, often more important than either hereditary or external environmental factors.”

“A linear correlation equal to 0.804 suggests that 65% of the differences in cancer risk among different tissues can be explained by the total number of stem cell divisions in those tissues.”

“The incorporation of a replicative component as a third, quantitative determinant of cancer risk forces rethinking of our notions of cancer causation. The contribution of the classic determinants (external environment and heredity) to R-tumors is minimal” (R-tumors sarebbero i tumori dovuti ai soli errori di replicazione, secondo loro)

Notate il salto logico deduttivo:

1- Sappiamo che nella replicazione cellulare si possono determinare errori, e possiamo quantificare questi errori

2- Questi errori POSSONO essere indipendenti da fattori esterni di disturbo, ossia si possono generare casualmente. (Occhio: non “sono indipendenti”, ma “possono esserlo” !)

3- Maggiore è il tasso di replicazione, maggiore è il rischio di cancro per un tessuto

QUINDI

4- Sono gli errori casuali, intrinseci al processo di replicazione, che DETERMINANO con maggiore probabilità il cancro in quel tessuto

Vi torna?

correlazione aereoNO! ASSOLUTAMENTE NO! Il fatto che vi siano degli errori casuali intrinseci al processo di replicazione non implica che quegli stessi errori non siano anche influenzabili da fattori esterni!

Quanti passaggi salta questo ragionamento fallace che fanno gli autori ? Immaginiamo che, come solitamente si ritiene, una cellula tumorale nasca a causa di una mutazione di una cellula sana. Seguendo l’interessante ritrovamento di T & V (perchè è in effetti interessante), questa mutazione avverrà molto probabilmente a seguito di un errore di replicazione cellulare, ossia:

errore di replicazione ->  si origina una cellula possibilmente tumorale -> si sviluppa effettivamente un tumore -> il tumore entra nelle “statistiche” mediche

Nessuno di questi passaggi è “scontato”: avremo tanti errori che non danno origine a cellule possibilmente dannose, tante cellule tumorali che non daranno origine a un tumore, tanti tumori che non vengono diagnosticati (ed è possibile che alcuni passino più inosservati di altri).

In questi passaggi possiamo benissimo immaginare fattori esterni che influenzino il percorso verso la formazione di un tumore, ossia fattori che facciano fare “più errori” durante la replicazione, o che facciano fare errori “più inclini a dare esito tumorale”.

Questi fattori che influenzano la replicazione cambierebbero la forte correlazione trovata dagli autori? NO se sono fattori a-specifici, ossia fattori che impattano su tutti (o molti) tessuti allo stesso modo! Esempi:

– Un patogeno a cui siamo esposti e che attacca ASPECIFICAMENTE le cellule durante la loro replicazione (più le cellule si replicano, più il patogeno ha opportunità di attaccarle e trasformarle in tumorali)

– Un fattore ambientale cancerogeno ASPECIFICO, ad esempio un vecchio rifiuto nucleare radioattivo: chi si trova nei pressi è maggiormente investito da quella radioattività, e le sue cellule (tutte), durante la replicazione, ne vengono influenzate.*

Allora, fermo restando che quel patogeno o quel rifiuto radioattivo non cambiano assolutamente nulla nella correlazione tra tasso di replicazione cellulare e rischio di cancro, vi sembra che si possa dire a chi è esposto al patogeno o alle radiazioni che se gli viene il cancro è per pura casualità? Chi è che gioca “a major role” nella genesi del cancro, il fattore che influenza la replicazione cellulare o il “bad luck”?

T&V fanno finta che queste eventualità semplicemente non esistano: per loro esistono “solo” gli errori genuinamente casuali o comunque sono solo quelli (e/o i fattori specifici) che danno origine al tumore!

Molti hanno rilevato incongruenze nello studio di T&V, ad esempio l’ IARC , Silent Spring , ecc. , però mi pare che il livello del dialogo sia su un contrasto di tipo fattuale, ossia: vediamo che ci sono fattori (come la radioattività, l’esposizione al sole) che non sono intrinseci, inevitabili o casuali, ma che aumentano il rischio di tumore nelle popolazioni o individui esposti ad essi, come fanno a dire T&V che sono ininfluenti?

Il problema non è lì. Prima ancora di una confutazione fattuale, qui c’è un problema logico-deduttivo: LA CORRELAZIONE NON E’ CAUSALITA’. E se i referee di Science non se ne sono accorti, se i commentatori scientifici che ne parlano non se ne sono accorti, siamo messi male. Un ragionamento deve avere prima di tutto coerenza interna.

Detto ciò, lo studio in sè è interessante, il problema sono le conclusioni che se ne traggono. Secondo me l’importanza che riveste l’analisi fatta da T&V risiede nel fatto che risulterebbero evidenti due cose:

1- il momento chiave in cui si origina un tumore risiede nella replicazione cellulare

2- ci possono essere molti cancerogeni che agiscono in maniera aspecifica, ossia modificando la tendenza di tutti o molti tessuti a sviluppare cellule tumorali durante il turnover

Insomma, sarebbe bastato “volare un po’ più basso” e lo studio, pur rimanendo interessante e valido, sarebbe stato più ragionevole. Ma la sensazione che mi resta è che alcuni ricercatori di fronte ad una correlazione forte si sentano come il bambino che ha trovato le caramelle e perdano qualunque sensatezza, così può capitare che i dati dicano una cosa, e le interpretazioni un’altra (qui un altro esempio famoso).

*E’ bene tener presente peraltro che le cellule che hanno un turnover maggiore, banalmente, sono proprio quelle più esposte a stress esterni ! Es. la cute, o l’apparato digerente, le cellule del sistema immunitario..

correlazione autismo

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Pubblicato in LOGIC CHECKING, RICERCHE, SCIENZA | 4 Commenti |

Come Dar Vita a un Movimento (di persone !)

Pubblicato su 20 Settembre 2014 di Claudio Cardone

Su Ted.com ci sono tanti video interessanti, quello che segue è un bell’esempio: breve, efficace, pratico. Il relatore spiega cos’è che permette ad un movimento di nascere e di passare da una fase embrionale (un tizio isolato che dice o fa qualcosa) a una di massa.

Secondo lui, le fasi critiche sono 2:

  1. La prima: il primo “follower”, colui che riprende, emula e/o diffonde l’idea del leader
  2. Il raggiungimento di una “massa critica”. Non ricordo se lo dice esplicitamente (non l’ho riguardato prima di postarlo) ma secondo me si evince abbastanza chiaramente. Ricordo bene (anche se al momento non lo trovo) un bell’articolo di Wired che dimostrava le similitudini tra il Web e le citazioni scientifiche: per entrare nella “cerchia buona” (dei siti più visitati, degli scienziati più autorevoli) bisogna avere una sufficiente “spinta”: è la massa critica, il momento in cui si aggiungono in maniera esponenziale nuovi follower/lettori/citazioni, ecc.  Nel filmato che segue, notate quanta gente “passiva” sta a guardare, il pubblico che è – in potenza – la nuova base del movimento, l’uditorio che viene suscitato al momento di culmine della massa critica.

 

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Pubblicato in CURIOSITA', PROPAGANDA, WEB | Lascia un commento |

Come “vincere” una discussione

Pubblicato su 26 Maggio 2014 di Claudio Cardone

In teoria il dialogo dovrebbe servire a chiarire le idee fra tutti i dialoganti ma, si sa, quando dibattiamo ognuno spreme tutte le proprie forze nel tentativo di convincere gli altri. Siamo così, dai: “queste convinzioni a cui sono abbracciato e che amo come me stesso devono vincere per me la battaglia (dialettica)”.. sì! …voglio vedere l’altro perdere, ammettere la sconfitta, dire che ho ragione, come se fossimo su un ring. Io per primo, e voi?

discussioneNon dovrebbe essere così, o meglio sarebbe utile per me, per voi che non fosse così, però la maggior parte delle volte succede così. Le parole diventano il surrogato di pugni e calci, di quell’aggressività fisica che ormai non esprimiamo mai, che reprimiamo socialmente.

In questo discorso rientra anche tutto quel discorso, di qualche post fa, su come e in che misura un po’ di logica potrebbe aiutarci a migliorare la qualità del dialogo, parlando di fallacie logiche.

A parte questo sfogo, volevo segnalare questo articolo : “Il modo migliore per vincere una discussione“. I risultati di alcuni studi sul comportamento umano e sul cambiamento delle proprie convinzioni, sembrano dimostrare che il metodo più efficace per dialogare cercando di far cambiare idea o “ammorbidire” le posizioni dell’interlocutore è.. il metodo socratico!

Bella scoperta, si dirà. Però forse vale la pena ripeterlo e ricordarselo: invece di affermare le proprie idee e “smontare” quelle dell’avversario, molto meglio cominciare “in sordina” e con understatement. Ovvero chiedere all’altro di spiegare le sue, di idee, cercando di farlo esprimere sul come e sul perchè la sua idea dovrebbe funzionare, soffermandosi sugli aspetti tecnici, sul “come funziona”. Senza spocchia e senza voler subito tirare verso le nostre conclusioni.

Ognuno di noi, quando spiega a voce alta un’idea, si può rendere conto dei suoi limiti, di cosa non ha capito, come accade quando ripetiamo a voce alta una lezione o quando ci può capitare di dover insegnare qualcosa a qualcuno. E’ in quei momenti che ci si rende conto magari di non aver capito a fondo qualcosa, o perchè ci si è convinti di qualcosa senza indagare granchè, o perchè l’idea che ci siamo fatti non ha basi poi così solide.

Tutto qui, spero di rileggere questi appunti ogni tanto per ricordarmelo, e magari potete trovarli utili anche voi.

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Pubblicato in OPINIONI, RICERCHE | 1 Commento |
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